Nel 1909 Marinetti (1876-1944) pubblica il suo Manifesto del Futurismo nel quotidiano francese Le figaro.

Nel 1914, Antonio Sant’Elia (1888-1916), architetto, pubblica Il Manifesto dell’Architettura Futurista e vuole così provocare una specie di rivolta nel mondo architettonico italiano rifiutando le opere del passato.

Le sue idee riprendono in parte quelle di Umberto Boccioni (1882-1916), artista del periodo futurista, affermando che la sua generazione « guardando lo sviluppo dell’arte italiana deve arrossire di vergogna o piangere di disperazione. »

Secondo lui, i giovani artisti, e più specialmente i giovani architetti odiano il nuovo e non vogliono staccarsi dal passato, dalle opere passate.

Quando definisce il suo concetto di architettura, Antonio Sant’Elia, come gli altri futuristi, lo fa in modo brutale. Il cambiamento architettonico deve farsi subito e con forza.

Le città devono strasformarsi senza pensare al passato, dimenticando il passato. Secondo Antonio Sant’Elia, gli architetti devono ricercare e creare, « aprire strade, sommergere isole, lanciare dighe, forare, sfondare, innalzare. »

Per finire afferma che l’architettura futurista deve sostituire alle  vecchie emozioni statiche e nostalgiche le violente emozioni del moto e della velocità.

La modernità deve spingere a creare, a costruire per fare della città un posto più bello ancora di un sito dove regna la natura. Tutti gli spazi urbani, le fabbriche, le nuove invenzioni, devono essere glorificati attraverso le arte e di sicuro attraverso l’architettura.